
L’incipit è tipico di un romanzo giallo. Muore la signora Ivette Ferrioli, per un malore improvviso. Il maresciallo che fa il sopraluogo trova in un pacchetto alcune buste consumate dal tempo contenenti lettere. Le consegna alla dirigente della Sezione Omicidi, Olga. La dirigente, incuriosita, inizia a leggere queste lettere. Si tratta di una corrispondenza tra due giovani che inizia nel 1939. Poi Stefano Chiusi parte per la guerra. La stessa dirigente si lascia coinvolgere sempre di più dalle vicende contenute nella corrispondenza che ci fa rivivere il dramma della guerra, la “tragica avventura” e il “mondo mostruoso che supera ogni immaginazione”. Stefano viene fatto prigioniero e così alcune lettere hanno come oggetto la sua vita trascorsa “ in un luogo chiuso da staccionate di filo spinato, quasi gabbie, ai limiti del deserto”. La corrispondenza si interrompe senza chiarire la sorte di Stefano e sarà la dirigente della Omicidi, spulciando tra altre carte, a convincersi della morte di Stefano. L’interesse di questa corrispondenza sta nel farci conoscere non solo la vita privata di una coppia dell’epoca con un bambino che non conoscerà mai il padre, ma anche ci permette di concepire lo stato d’animo di una nazione attraverso la testimonianza di un soldato della seconda guerra mondiale.
Brezze di mare è una raccolta di dieci racconti.  Da “Giovanna la Pescatrice”, dal sapore fiabesco e fantastico a “Il Paese del mio  Sud” dove una telefonata della figlia che è prossima a partorire fa rivivere  antichi ricordi sulla vita nelle campagne e su antiche ricette di cucina. Da  “Donna Letizia” dove viene sfiorato il problema della ragazze madri a “La  Casetta dalle Tegole Rosse” con le figure di nonna Filomena e nonno Rocco.  Da “Giardino Lido di un Tempo” dove facciamo  la conoscenza del barone Giampieri, che sa camminare con i tempi, al contrario  della moglie donna Valeria che rimane legata al suo passato.
    Da “Una visita eccellente”, dove una visita  all’amico Nicola in una villa al mare che si conclude con l’uccisione di un  ospite atteso , Beniamino Petra a “La Partenza di zia Isabella per l’America”  con considerazioni che possono interessare gli emigranti di ogni tempo. 
    E poi “Il Caffè al bar” con una perfetta  descrizione degli anni cinquanta e uno spaccato sui rapporti fra l’alta  borghesia e i commercianti di mercerie; 
    “L’Abito Bianco”, una tipica storia di rancori  covati fra parenti ed infine “Il Passerotto alla Fonte”, storia di un amore  sbocciato tra due giovani.
    Qualche considerazione sulla prosa della De  Angelis è senza dubbio nitida, precisa, chiara,efficace, talvolta mordace. Il  tema dei ricordi riaffiora prepotentemente nei suoi racconti. E con essi un  pizzico di malinconia e di rimpianto. Ma l’autrice non appartiene- si badi  bene- alla schiera dei laudatores temporis acti né rimpiange le buone cose di  pessimo gusto di gozzaniana memoria. Anzi, qua e là, la descrizione degli  avvenimenti passati è vista con sottile umorismo. Il tempo in cui siamo  vissuti- sembra dire la De Angelis-era quello. Del resto è lo stesso  Ecclesiaste che ammonisce :”Non dire mai: perché i tempi antichi erano più  felici dei presenti? Non è una domanda intelligente. “Dai racconti risaltano i  temi cari alla nostra autrice: riferimenti autobiografici; ricordi  dell’infanzia; forti legami con la famiglia; l’attaccamento alla Calabria e a  Reggio in particolare e infine l’amore. Tutti questi temi, insieme alla varietà  dei sentimenti che vanno dalla nostalgia alla speranza, dal dolore alla gioia,  tornano nei versi di “Gemme, fiori e foglie”. 
    Ma la poesia della De Angelis – conclude Nino  Megali - non esprime solo sentimenti, ma può descrivere anche un animale, un  paesaggio, un luogo. Il verso è limato, scorrevole e terso. Attraverso queste  rime la poetessa riesce a comunicare con noi raccontandoci non solo una serie  di fatti, ma trasmettendoci emozioni, sensazioni e sentimenti. La parola è  passata alla poetessa  Antonietta De  Angelis Del Medico che ha esordito affermando “Scrivere per me è stato un  momento di grazia, oserei dire un momento di intensa illuminazione che mi ha  spinto a ricordare i racconti interiori, le identità di alcune figure di donne.  Una misteriosa illuminazione che mi ha spinto a parlare di donne che nella più  onesta semplicità hanno rappresentato e rappresentano ancor oggi la parte  migliore, la punta di diamante di questa nostra Calabria”.
    Si tratta quindi di donne non famose (quali quelle che la letteratura  per lo più ci tramanda), ma che certamente dotate di un forte potere interiore  hanno saputo portare fuori la luce delle pluralità delle anime del nostro Sud.  Esse sono madri, spose, amiche tutte governate dall'amore verso i figli, la  famiglia, gli amici, i parenti o da questo volto dell'amore stesso (dall'uomo  verso la donna e viceversa) ancor oggi misterioso e incomprensibile come ne la  bella favola di Psiche.
    Vero è che la posizione della donna, fin dalle origini della storia  dell'umanità appare e nel campo sociale e nell'impressione della propria  personalità e in quello politico e giuridico sempre in subordinata a quella  dell'uomo.
    Già il codice di Hannurabi del 1752 a.C. riconosceva all'uomo il  controllo sulla prole e sulla sessualità femminile ed ancora dagli Assiri nel  1200 a.C. il corpo della donna era considerato di assoluta proprietà maschile o  del padre o del fratello o del marito fino a giungere in Oriente alle Tragiche  separazioni dell'Harem. In questo luogo i sovrani avevano la possibilità di  mantenere tutte le concubine che volessero in quanto sinonimo di potenza e  grandiosità.
    Si legge che Dario ne ospitasse 365 e che un re sassanide del 531 d.C.  ne ospitasse dodici mila.
    Che se da una parte la parola Harem può evocare un mondo fantastico,  fatto di trasgressione e profumi mai sentiti, dall'altra non può che suggerirci  che un'umana pietà verso tutte quelle donne che, rinchiuse e velate, sono state  obbligate a condividere lo stesso uomo su comando.
    Anche nella società greca precristiana, vigeva un'accentuata disparità  tra i sessi. Le donne, specialmente quelle appartenenti alle classi  privilegiate, sottoposte e soggette alla tutela del marito o del fratello,  potevano lasciare l'abitazione solo per particolari circostanze … (le famose  visite di lutto!)
    La civiltà romana, pur legata a queste consuetudini affiderà tuttavia  alle donne il compito morale di madre ed educatrice dei figli e vale a questo  punto ricordare la figura di Cornelia, madre dei Gracchi nobili tribuni della  plebe del 130 a.C. E dunque si narra che Cornelia, rimasta vedova in giovane  età, avesse rifiutato di sposare il re di Egitto del tempo per consacrarsi  tutta all'educazione dei figli. Ed ancora si dice che ad una matrona romana,  che le ostentava i suoi monili, mostrasse i suoi figli dicendo: “Ecco i miei  gioielli”. Non a caso a lei più tardi sarà eretta nel Foro romani una statua  con questa semplice scritta: “A Cornelia madre dei Gracchi”.
    E certamente da questo tempo in poi il grande flusso della storia delle  donne romane emergerà per più vicende.
    Tuttavia le consuetudini relative alla discriminazione delle donne  diedero vita, a seconda delle aree geografiche, a differenti culture e  comportamenti fin nelle società più complesse e sviluppate dei secoli  successivi.
    La rivendicazione della sua uguaglianza giuridica e politica con l'uomo  ha inizio solo nell'età moderna e nei paesi occidentali. I primi fermenti si  hanno nel Settecento ma il vero e proprio affermarsi si ha durante la  Rivoluzione del 1789 in Francia passando poi per la Germania, l'Inghilterra e  l'America.
    Ma solamente dopo un iter faticoso e complesso di più di due secoli  questo cammino raggiungerà la sicura va al godimento di tutti i diritti civili  (diritto di voto, eleggibilità alle cariche amministrative, politiche).
    Ed oggi certamente con i mutamenti socio/economici e tecnologici si  vanno affermando nuovi valori e nuove idee che assai spesso sembrano  contrastanti con quelle del passato legate soprattutto alla saggezza dei  comportamenti.
    Leggiamo ne “Le conversazioni di Venerdì” di Achille Walter Cannizzaro:  “Anche le donne come l'eroe Ulisse oggi vogliono scoprire ciò che ancora non si  conosce e spesso si dimenticano di seguire la via della prudenza e quindi della  saggezza”.
    Ma a questo mondo della saggezza e governato dall'occhio dell'amore non  ancora sopraffatto dai mutamenti, quando la vita si manteneva uniforme secondo  i modelli della tradizione e tuttavia con spinte nuove appartengono  queste mie protagoniste del primo e del  secondo novecento. Questo secolo breve appena alle nostre spalle.
    È dunque per estensione potremmo dire – continua la professoressa  Antonietta De Angelis Del Medico, che queste donne non ancora pienamente  acculturate, ma dall'animo forte quasi virile tratte dalla vita provinciale,  vivendo concretamente ed ubbidendo alla morale comune, libere nella giusta via  cogliendo il senso vero dell'umanità ci aiutano a risolvere il dramma  fondamentale dell'oggi incapace di stabilire una legge assolutamente morale,  cioè vera sia sul piano affettivo e individuale sia su quello intellettuale e sociale.
    Tutto questo rappresentano le mie donne da “Il caso della signora  Ivette” a “Brezza di mare”.
    Donne capaci d'amore che ci consentono di giungere quasi alla radice  della vita umana.
    Ma c'è di più – prosegue  la  professoressa Antonietta De Angelis Del Medico – queste mie opere sarebbero  potute rimanere confuse se la mia esperienza ed i miei studi non mi avessero  guidato verso una ricerca che, volta a creare intorno un'architettura di  bellezza, mi ha permesso di aggiungere alla penetrazione del senso umano ed  alle atmosfere dei tempi pennellati di colore estremamente veri e partecipi e  la memoria dei luoghi sostenuti da un forte sentimento religioso  così che – in una lettura che si fa seguire  senza fatica anche gli elementi della natura (dal mare ai fiori, dalle piante  al volto morbido delle nostre colline, ai profumi) sono entrati a farne parte  viva e portante, umilmente cercando di raggiungere quel vertice artistico che  dire all'Alighieri nel suo canto XI dell'Inferno al verso 105 “che l'arte a Dio  quasi è nipote”.
    Ed infine -conclude la poetessa Antonietta De Angelis Del Medico - data  la serata, in omaggio alla nostra città ed alla nostra giovinezza “Lido  Comunale” un racconto con presenze femminili variegate e vivaci e dove la  vicenda socio politica pur di notevole spessore (viviamo il passaggio dalla  Monarchia alla Repubblica del 1947) è presentata in chiave garbatamente  umoristica, quasi dilettantistica  





